Da sempre, il paese a novembre si scalda e si ravviva grazie a questa lunga e antica tradizione, che in tempi antichi, ogni secondo mercoledì di novembre portava mercanti, agricoltori e contadini a incontrarsi prima dell’inverno e alla fine della bella stagione. Da qualche decennio, invece, quella che era una fiera agricola si è trasformata in una domenica di festa, che in piazza ci fa stare insieme con le bruciate e il vin novo. La fiera è per i gallianesi, non solo un momento di festa e di tradizione, ma anche di unione col il territorio, di altruismo, di socialità paesana e di tanto altro ancora.
Le edizioni storiche di questa manifestazione sono andate in scena più di un decennio fa, ma prima della pandemia nel 2019, i ragazzi in collaborazione con le massaie di Galliano hanno deciso di riproporre l'iniziativa che mette a tavola più di 400 persone nella piazza e nel corso del paese.
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Riprendendo l’usanza di tanti anni fa, per festeggiare l’arrivo del Maggio, la sera del 30 aprile, si formava, qui a Galliano, un gruppo di persone che andavano per il paese cantando. Una tradizione popolare antichissima. Il gruppo dei “maggiaioli” partiva, a piedi, la sera del 30 Aprile, cercando di raggiungere ogni piccolo casolare per cantare e augurare un buon raccolto di amore e di pace.
Si cantavano pezzi della tradizione popolare, la vita insomma dei nostri vecchi contadini e artigiani, si trasmettevano storia e cronaca di questa gente che vi trovava un diversivo nella quotidiana dura fatica. Si cantavano motivi semplici che dilettavano l’orecchio e il cuore.
È il canto dei nostri contadini, dei nostri vecchi artigiani che, durante il lavoro dei campi e nelle botteghe, cantavano con passione, esprimendo la gioia di vivere a contatto con la natura o mentre creavano dei piccoli capolavori di artigianato con il legno, col ferro, col cuoio e così via. Si cantava sempre, magari con rabbia, ma si cantava tra il sole dei campi, la polvere delle aie e la fame che illanguidiva lo stomaco, rendendo le membra pesanti per la fatica di giornate senza fine. Si cantava perché cantare significava vivere, resistere all’abbruttimento di una vita avara di gioie e ricca di amarezze. Spesso erano gli stessi “capoccia” che davano il via, perché cantare dava tono e ritmo al lavoro. Il canto era anche motivo di gioia e di amore. Alcuni canti popolari sono stati tramandati oralmente di generazione in generazione: contadini, boscaioli, montanari, li improvvisavano e li cantavano anche a veglia.
Anche qui a Galliano c’era questa usanza e oggi, i nostri giovani l’hanno riscoperta e la rimettono in pratica.
La loro speranza è quella di coinvolgere tantissima gente, affinché il messaggio autentico che vogliono veicolare, venga diffuso e condiviso. Un’apertura alla pace, al rispetto della natura che ci nutre, un richiamo forte alla fiducia e alla solidarietà, proprio in uno dei momenti più complicati della storia.
In occasione della festa del Santo Patrono di Galliano, San Bartolomeo, la prima domenica di Settembre la Parrocchia del paese organizza una cena a base di Tortelli Mugellani sotto il chiostro della Pieve di San Bartolomeo. Questo pranzo, poi diventato cena è storicamente un momento di convivialità tra i gallianesi.
Secondo la tradizione contadina e Gallianese, fra la notte del 18 e 19 marzo si festeggia San Giuseppe con un rito tra i più antichi, tra religione e paganesimo. É usanza accendere il “foco” di sterpaglie e potature per festeggiare l’arrivo della bella stagione e salutare l’inverno, simboleggiato da un fantoccio che viene bruciato. Attorno al grande falò che a Galliano solitamente viene acceso lungo le sponde del Tavaiano o sulle colline, canti popolari e le immancabili frittelle di riso di San Giuseppe.
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